ITS TIME! 2024
III Edizione Premio “PINO LOCOROTONDO”
Tema conduttore della serata
“Essere Umano Dove Sei?”
Una stagione di Teatro e dintorni che è appena
trascorsa mentre una nuova sta iniziando!
NATURAE
Dopo otto anni e dieci spettacoli, la ricerca artistica di Armando Punzo con la Compagnia della Fortezza giunge, con Naturae, a una tappa definitiva.
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LA FINTA AMMALATA
TEATRO SAN BABILA
16 | 18 febbraio
COMPAGNIA MC SIPARIO
Franco Oppini . Miriam Mesturino . Roberto D’Alessandro
Giorgio Caprile . Luca Negroni . Giorgia Guerra
Riccardo Feola . Ada Alberti
LA FINTA AMMALATA di Carlo Goldoni
regia Giorgio Caprile
Un tuffo nel mondo goldoniano con un adattamento che non stravolge ma accompagna la storia e ne ritaglia sfumature e tratti della Commedia dell’Arte. La pièce è accompagnata da musiche originali che ne sottolineano tempi, ingressi e uscite dei personaggi, cambi scena e attese. Il linguaggio, fedele come i costumi di scena, risuona e giunge al pubblico insieme alle azioni calibrate e semplici capaci di dirigere le reazioni del pubblico attento e piacevolmente accattivato.
Non sono presenti stravaganze per colpire l’occhio dello spettatore; tutto è giocato con la parola, il gesto e l’espressione verbale. Non si fatica a intuire e lasciarsi guidare dalla semplicità dello spaccato che prende vita momento dopo momento. La scenografia, semplice, non invade ma guida sinteticamente lo spazio; lo descrive ma non lo narra, lo delimita ma non lo invade. Lo spazio si apre sui personaggi in quanto sono loro ad animarlo.
Il resto lo fa il regista che, con Goldoni, racconta una storia che ben si presta ai giorni nostri e il cui spaccato umano si pone ben chiaro davanti agli occhi del pubblico.
Si comprendono le piccolezze umane come anche le timidezze, le paure e le ansietà. E, ci si accorge come l’uomo e le sue umane vicissitudini si ripetono e cercano di insegnarci cose che continuamente perdiamo per poi riprenderle e riperderle ancora.
L’umano è un divenire di passato che si sviluppa nel tempo, che viaggia in avanti ma che porta il fagotto di ciò è stato senza ancora la consapevolezza di quel ci ha voluto insegnare. Così, le domande sono le medesime di un tempo.
Ridiamo di quanto vediamo e, insieme, di noi stessi, consci e incosci di quanta verità Goldoni ancora oggi ci comunica, tra un sorriso e un’altro.
Margareth Londo
Questa farsa non è mai stata rappresentata in tempi moderni, se non in versione operistica. Credo che una tale opera, dove il mondo della medicina è oggetto di satira e viene rappresentato con poca fiducia, evidenziando l’approssimazione con cui i presunti luminari arrivano a diagnosi e terapie, debba avere il suo spazio nei luoghi per cui è stata scritta e cioè nei teatri di prosa.
Ne proponiamo un allestimento fedele all’epoca goldoniana nei costumi come nel linguaggio: il mio adattamento rispetta l’originale, rendendolo in alcuni punti più fruibile per il pubblico di oggi e riducendo i tre atti in due. Le musiche originali sono di Paolo Vivaldi.
Mi ha particolarmente attratto di questo testo l’occasione di reinterpretare, sempre nell’ottica di una fedeltà creativa, diversi elementi legati alla Commedia dell’arte: l’interpretazione del veneziano Pantalone è affidata alla grande esperienza attoriale e alla comicità sempre innovativa di una “maschera” dei giorni nostri come Franco Oppini, tra l’altro veneto di formazione.
Tra gli interpreti dei dottori consultati sulla malattia di Rosaura, di cui ho voluto evidenziare in modi e movenze la vicinanza alle maschere, in questa nostra versione figura un maestro della commedia dell’arte quale Luca Negroni, che cura anche i movimenti di maschera dello spettacolo. Anche lo Speziale vive in una caratterizzazione degna di una maschera, grazie alla comicità surreale di Roberto D’Alessandro. Colombina si colora qua e là di toni siciliani e diventa Agatina con la personalità esplosiva di Ada Alberti.
Personaggi più vicini invece alla Commedia di carattere sono Rosaura, la finta ammalata del titolo, che ho voluto affidare ad una affermata interprete di protagoniste goldoniane come Miriam Mesturino, il “bello e buono” Dottor degli Onesti che ha le sembianze di Riccardo Feola, volto di eroi della tradizione teatrale come l’Oreste di Eschilo e l’elegante Beatrice, amica attenta e diplomatica, che è interpretata da Giorgia Guerra, attrice che ben si muove nel repertorio classico da Plauto a Molière.
Il regista Giorgio Caprile
NELL’OCCHIO DEL LABIRINTO – Apologia di Enzo Tortora
L'OCCHIO DEL LABIRINTO
FUORI NIGUARDA | Teatro Elfo Puccini
13 | 18 febbraio
scritto e diretto da Chicco Dossi
con Simone Tudda
primo spettatore Renato Sarti
produzione Teatro della Cooperativa
si ringrazia l’Associazione Enzo Tortora
Un uomo, una vita.
Poi, lo stravolgimento, la malagiustizia, la crudeltà, l’accanimento.
Siamo dinanzi all’esistenza di un innocente che è visto come un nemico e che diviene, egli stesso, colui il quale restituisce voce a tutti gli altri “se stesso” che non ne hanno.
Enzo Tortora e la sua storia tornano a vivere sulla scena attraverso un testo ricco di sfumature, colori, riflessioni, umanità e disumanità: ci vuole così poco per cadere “nell’occhio del labirinto”. E’ quello che avviene a un uomo completamente estraneo a tutto quello che gli sta accadendo e, incredulo, stenta a comprendere.
Ne percepiamo lo sguardo, con la ricerca interiore dettata dall’angosciante paura del non ritorno alla propria vita “riconoscibile”.
Le parole del narratore-uomo pubblico scivolano via, una dopo l’altra, come il tempo avviluppa la vita, la conduce e la lascia fluire per bloccarla e ancora liberarla. Così, la storia di Enzo Tortora racconta se stessa: l’uomo narrato diventa il narrante che vive i momenti mentre li osserva cercando di trarne risposte con le mille domande ancora sospese. “I se e i ma” si librano nell’aria; hanno peso e trasmettono freddo.
Simone Tudda abilmente, mette in azione un corpo che muove abiti, sempre gli stessi e riconoscibili, che identificano ora il protagonista, poi, pause dialogative e ancora sospensioni temporali…quelle che servono alla memoria e ai pensieri per cercare il “senso” di tutto quel male capace di ribaltare la vita del nostro protagonista.
Un contraccolpo esistenziale. Come agire alle ribellioni della vita quando sono architettate da uomini assetati di “male”? E come si può uscire da un incubo del genere?
Il regista e autore della pièce Chicco Dossi ci pone davanti a questa evidenza umana: Enzo Tortora è un uomo ma anche un portavoce di innocenza. Conduce se stesso davanti a un tribunale che sa bene essergli avverso eppure, porta lì davanti la sua dignità e null’altro. Cosa faremmo noi? Cosa ci dice Tortora con tutto il dolore che lo ha divorato, momento per momento? Esiste la giustizia e possiamo noi credere in lei? E se questo è accaduto a un uomo pubblico, quanti uomini comuni stanno pagando per colpe non commesse?
Tortora viene assolto quale persona innocente ma ormai è morto a se stesso. Divorato internamente da tutto il male ingoiato e trattenuto per avere il coraggio di guardare in faccia i propri carnefici. Nella gratuità, la sua luce, pur spegnendosi in un corpo annientato, si è espansa, illuminando le speranze di quanti lottano silenziosamente: mai arrendersi anche quando tutto sembra finito e irreversibile. Una possibilità può nascere. Questa la lezione umana e di vita che Tortora lascia a ognuno di noi, quali testimoni della memoria del male.
Margareth Londo
Dalle parti di Corso Magenta, a Milano, proprio davanti al Teatro Litta, c’è Largo Enzo Tortora. Quasi più una commemorazione che una targa toponomastica – non credo che possieda nemmeno un numero civico – in piccolo, sotto il nome, reca la scritta giornalista e le date di nascita e di morte: 1928-1988.
Più per curiosità che per senso civico, un giorno, ho deciso di informarmi. Ho scoperto che il caso Tortora era ben noto alla generazione di mia madre e assolutamente sconosciuto alla mia. Un caso di malagiustizia, forse ancora più eclatante perché perpetrato ai danni di una persona nota agli italiani, dal momento che il suo volto teneva banco per un’ora e mezza a settimana sulle reti nazionali. Un episodio che assumeva contorni sempre più agghiaccianti, man mano che lo approfondivo: nessuna presunzione di innocenza, accuse mosse senza prova alcuna, magistrati smaniosi di arrestare il nome grosso che non leggono gli atti dei processi, blitz antimafia venduti alla stampa ancora prima che avvengano, il tutto ai danni di un uomo totalmente estraneo ai fatti e non associato in alcun modo agli ambienti camorristici.
Spesso riteniamo che il XXI secolo sia l’era delle fake news, dello strapotere dei media – siano essi tradizionali o social – nel dirigere da una parte o dall’altra l’opinione pubblica. Il caso Tortora è l’esempio lampante di come la manipolazione delle informazioni affondi le sue radici più indietro nel tempo: testate autorevoli e firme di tutto rispetto hanno contribuito a questa grottesca macchina del fango basata su pettegolezzi giudiziari, fiumi di calunnie imperniate sul sentito dire, cacce grosse allo scoop più bieco per dipingere una persona onesta come un mostro dalla doppia faccia, quella del presentatore che intrattiene le famiglie sulla TV di Stato e quella del malavitoso capace di spostare milioni di lire e chili di cocaina con uno schiocco di dita.
Il caso Tortora non è incredibile soltanto per la crudeltà con cui giudici, stampa e opinione pubblica si sono accaniti nei confronti di un innocente. La storia di Enzo è la storia di un uomo, che, dall’alto della sua posizione di personaggio pubblico, ha deciso di farsi portavoce di una battaglia che non ha colore politico: quella della giustizia giusta. Avrebbe potuto darsi alla macchia come già altri – meno innocenti – che prima di lui avevano fatto, avrebbe potuto sottrarsi a un processo che sapeva essere iniquo. Consapevole di essere innocente, Tortora si è spogliato dell’immunità di europarlamentare per farsi giudicare da un tribunale che non lo vedeva come imputato, ma come nemico. Consapevole di essere innocente, ha messo la sua storia a disposizione di tutte le persone che sono nella sua stessa situazione, ma non hanno i mezzi e le possibilità di essere giudicate in maniera equa.
Il monologo – interpretato da Simone Tudda – si dipana in una narrazione continua, dove la diegesi oltrepassa i confini narrativi per sfociare nel dialogo, risale nel resoconto storico, dove i dati sono sempre raccontati in maniera essenziale per comprendere le vicende, si alterna tra la terza persona di un narratore onnisciente, che va a spiare i detenuti del carcere di Forte Longone e la prima persona del giornalista, fino a scavare nella sua interiorità nel momento dell’arresto, provando a immaginare come possa essersi sentito, braccato in piena notte, dai carabinieri all’Hotel Plaza di Roma. Iniziano così i suoi anni nell’occhio del labirinto, espressione che vuole unire la claustrofobia di chi non sa quando, e soprattutto se, potrà uscire dalla prigionia fisica e mentale con il voyeurismo giustizialista della stampa, che, per una copia venduta in più, non ha esitato a ignorare i fatti per far posto al sensazionalismo più bieco.
Il regista Chicco Dossi
I DON’T CARE
“I don’t care” è un progetto di performing art nato dalla necessità di comprendere l’evoluzione dei rapporti umani nell’era dei social network, raccontare la frammentarietà (frutto della rivoluzione digitale) della “narrazione” del quotidiano.
Continue readingBISOGNA SAPER UCCIDERE QUANDO E’ NECESSARIO
Uno spettacolo doloroso, straziante, che una volta finito si ha voglia di rivederlo dall’inizio. Una storia amara che lascia un vuoto incolmabile e un profondo senso di tristezza e di speranza.
Continue readingCREDI DAVVERO CHE SIA SINCERO
È una storia che racconta un fenomeno, quello della violenza di genere, nelle sue conseguenze piú brutali che, come società condanniamo, ma non sappiamo combattere fino in fondo.
Continue readingDESAPARECIDOS
DESAPARECIDOS
MILANO OFF FRINGE FESTIVAL 2023
Isolacasateatro
5 | 8 ottobre 2023
Di e con Nicola Michele
Musiche originali dal vivo Alessandro Manunza
Costume e maschera Emilio Ortu Lieto
Compagnia Il Salto del Delfino Teatro
“Desaparecisos”…già solo questo termine fa venire i brividi…la caccia all’uomo con migliaia di sparizioni…
Il lavoro teatrale di Nicola Michele è implacabilmente delicato e incisivo. Lento il ritmo dell’azione, quasi come sottolineature emotive scolpite nel tempo. Sembrano quasi nutrirsi di attimi temporali capaci di imprimersi negli occhi degli soettatori, attraverso l’ascolto e il ritmo stesso. Quest’ultimo scandito anche dalle note della chitarra di Alessandro Manunza, abilmente commisurata al gesto e al respiro emozionale dell’attore/maschera.
La storia è gestita come un gomitolo di lana colorata che si srotola scivolando e cadendo dall’alto per planare rovinosamente sul suolo. Solo dopo l’impatto, potrà mostrare la sua realtà. Ormai sfatto e sfilacciato, continuerà a rotolare sino al termine del suo filo.
Ecco la vita del protagonista, natio della Sardegna, emigrato in Argentina per far fortuna e che si ritrova a vivere l’inaspettata realtà di un periodo storico terribile.
Assistiamo a l’intrecciarsi di vite e di storie attraverso cui passa la crudeltà e la durezza, il dramma col dolore mai sopito ma sempre vivo e agitato per sorti umane di cui ancora oggi nulla si sa. Facciamo fatica a restare spettatori. Vorremmo reagire a tali brutture ma la storia è ormai storia e, allora, abbiamo il dovere di non dimenticare, di ricordare quanto orribile è la trasfigurazione dell’uomo che perde la propria umanità. Non si può permettere all’oblio di avvolgere e portare via con sé tutti coloro che sono stati barbaramente vittime senza nome né ritorno.
E’ un lavoro teatrale che lascia senza fiato; non certo per la fatica fisica ma perché il fiato scompare insieme al respiro che si blocca quando la bruttura supera ogni ragionevolezza.
Ed è proprio in quel momento che ti chiedi: ma l’uomo è davvero anche questo? Così, ti guardi intorno e ti senti solo, un puntino che vaga nello spazio cercando risposte che, come scriveva qualcuno, “risuonano nel vento”.
Nonostante le grandi distanze qualcosa che ci avvicina esiste sempre. Ciò che ci sembra lontano all’improvviso può essere vicinissimo…e, un “desaparecidos” sardo ne è la riprova. Potrà l’uomo ritrovare la propria umanità? Quanto l’uomo vorrà imparare da queste terribili lezioni?
La conoscenza ci permette di prendere coscienza ma la volontà deve essere capace di non permettere altre mostruosità. Così, il passato, neanche troppo lontano, ci consente di riflettere sul nostro oggi, tanto controverso, che spesso sembra non aver afferrato, ancora, alcuna lezione.
Margareth Londo
“I have a Dream”
Forse un mantra ma anche un seme di speranza portato all’umanità…quando sentire non vuol dire necessariamente ascoltare…e quando il tempo porta distanza e oblio mentre è importante poter ricordare…
Più che uno spettacolo è una misurata azione teatrale in cui il ritmo è chiaro e il movimento calibrato. È un’azione che si sviluppa attraverso un racconto che ha il ritmo del respiro…quello che serve per prendere fiato per poter raccogliere il coraggio e la forza e raccontare la realtà di un momento storico non così tanto lontano…